sabato 22 settembre 2012

Traslochiamo


Questo blog, così come il blog 'gemello' Quasibaol, da oggi confluisce nel nuovo blog ECLITTICA. Potete continuare a leggerci là.

giovedì 20 settembre 2012

XX settembre: e se provassimo a unirci?



XX settembre: ne abbiamo viste tante in questa data che dovrebbe essere restituita ai cittadini come festa nazionale; se non altro perché compie la definitiva unità d'Italia restituendole la sua Capitale, dopo il trasferimento di questa da Firenze, ultimato nel 1871. Salvo gli 'aggiustamenti' che furono conseguenza dell'ultimo dopoguerra, la fisionomia del Paese da quel momento non cambierà più. Spiace per Giorgio Napolitano e per quei pochi nazionalisti e patrioti rimasti, ma le celebrazioni dell'anno scorso per il 150° dell'unità d'Italia sono stati uno spreco di risorse pubbliche e nulla di più: il vero 150° cadrà il 20 settembre del 2020.

Il XX settembre è il nostro independence day, il primo (l'altro è il 25 aprile, data pure quella invisa a una larga fetta di potere politico), la liberazione dalla teocrazia vaticana. Che era - ricordiamolo - unadittatura in piena regola. E' dunque una data importante, e andrebbe degnamente celebrata. Invece in questi anni ne è stato svilito il significato: commemorazioni dei poveri zuavi pontifici vittime dei bersaglieri, prototipi degli odierni laicisti brutti sporchi e cattivi; santificazioni dell'assurdo, con il conio del concetto di 'laicità positiva'; genuflessioni eccellenti (dal Quirinale in giù) al ritrovato potere temporale della Chiesa, grazie al virus del clericalismo 2.0 , quello che rammollisce le ossa lombo-sacrali degli amministratori pubblici, che si ritrovano compulsivamente a inchinarsi ai gerarchi vaticani in nome del 'rispetto delle posizioni di tutti'. Incluso chi ha torto ma fa finta di niente.

Ne abbiamo viste di tutti i colori, e altrettante abbiamo tentato di denunciarne all'opinione pubblica. Ne manca una, in realtà, da denunciare, ed è scomoda e dolorosa: la frammentazione dei laici, problema antico, persino nel giorno che dovrebbe vederli marciare uniti nel nome dell'interesse comune, la piena, effettiva e non formale realizzazione della laicità dello Stato. E non il bombardamento della Città del Vaticano coi B-52, precisiamo casomai qualcuno da oltre Tevere dovesse leggerci.

Oggi, venti settembre 2012, sono previste diverse cerimonie di commemorazione della presa di Porta Pia: troppe. Sarebbe meglio, almeno per una volta, superare divisioni e narcisismi di partiti, associazioni e gruppi e unire le forze, fare numero e, con un segnale inequivocabile alla classe politica (e non al clero, del quale in fondo non ci importa nulla), materializzare lo scontento per il tradimento della Costituzione all'articolo 7: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Il successivo paragrafo andrebbe cassato del tutto.

Se dovessimo stabilire che un ipotetico calendario laico inizi col venti settembre, e che dunque oggi è il primo dell'anno, questo potrebbe essere il proposito per l'anno nuovo, il compito che tutti gli interessati alla soluzione del problema del tradimento della Costituzione devono svolgere nel nuovo anno: superare le divisioni, rinunciare ai personalismi, acquistare credibilità presso le istituzioni e i cittadini, conquistare gli indifferenti ai temi legati alla laicità, uscire dal piccolo circolo snob dei 'laicisti' e parlare a tutti in maniera chiara. Oltretutto il momento storico è propizio: la crisi economica rende particolarmente insopportabili i privilegi del Vaticano e della Chiesa cattolica, l'immenso scandalo della pedofilia clericale è ancora sepolto dall'omertà politica e sta cominciando solo adesso a venire a galla. Battere il ferro finché è caldo, insomma.

Ma se marciamo divisi, non andremo da nessuna parte; e realizzeremo definitivamente (i segnali ci sono tutti) quell'incubo per cui invece che entrare noi nelle mura leonine, sono loro che sono passati di qua attraverso quella Breccia. Parliamone.

Già pubblicato qui.

martedì 18 settembre 2012

Film blasfemo, Google inventa la censura a macchia di leopardo



"L'innocenza dei musulmani", il film che ha scatenato la reazione violenta e rabbiosa da parte degli integralisti islamici in tutto il mondo e che ha portato all'uccisione - tra gli altri - dell'ambasciatore americano in Libia Christopher Stevens, non sarà censurato da Google, proprietaria di YouTube, dove il film sta girando da tempo. O almeno non sarà censurato ovunque ma per ora solo in India, Indonesia, Libia ed Egitto. Questo malgrado una richiesta di rimozione da parte di un imbarazzato Barak Obama, che deve fronteggiare anche l'attacco interno dell'avversario per la Casa Bianca Mitt Romney, secondo il quale il presidente in carica è troppo tiepido nella sua risposta agli attacchi verso le ambasciate e gli interessi degli Stati uniti.

Appare evidente che la reazione rabbiosa degli integralisti, guidata e istigata da Al Qaeda, ha motivazioni che vanno oltre il contenuto del controverso film. Motivazioni che vanno ricercate nella loro decennale lotta contro "l'imperialismo occidentale", soprattutto made in Usa, in un momento propizio per approfittare dell'esito (deludente, finora) della cosiddetta primavera araba e acquisire potere nelle nazioni interessate. Ma il problema della pretesa intoccabilità della figura del fondatore dell'Islam e del suo libro sacro esiste, ed è serio. Ne sanno qualcosa - tra i più conosciuti - Salman Rushdie, condannato a morte da una fatwa dell'allora Ayatollah Khomeini per il suo libro blasfemo "I versetti satanici" già nel 1989, oppure più recentemente il vignettista danese Kurt Westergaard, che aveva ritratto il profeta in una sua vignetta con una bomba nel turbante. Un estremista somalo riuscì due anni fa a raggiungerlo nella sua casa in Danimarca e fu arrestato (e poi condannato) solo un attimo prima di mettere in pratica il suo proposito omicida. Non si salvò invece Teo Van Gogh, regista olandese assassinato per aver inserito nel suo film "Submission" scene giudicate blasfeme dal pazzo di turno.

E' interessante l'atteggiamento di Google, che solitamente si fa paladina della libertà di espressione e protagonista di lotte per i diritti civili, come per la campagna "Legalize love" in favore dei diritti delle persone omosessuali, con un tour che sta girando il mondo a partire da alcuni dei paesi meno propensi a concederli, questi diritti: Singapore e Polonia.
In un comunicato, la società afferma che il video incriminato resterà disponibile su YouTube (di cui è proprietaria) perché non vìola le sue linee guida, che garantiscono la libertà di espressione ma non consentono invece lo hate speech, ovvero istigazione all'odio chiaramente diretto verso persone o gruppi di persone. Diventa spesso difficile stabilire quando il limite tra libertà d'espressione e istigazione all'odio viene varcato, ma «questa può essere considerata una sfida perché quello che va bene in un Paese può essere offensivo altrove: questo video, che è ampiamente disponibile sul web, rientra chiaramente nelle nostre linee guida e quindi resterà su Youtube», si spiega nel comunicato; fatti salvi quei paesi dove è del tutto illegale o dove (Libia ed Egitto) ragioni di "opportunità" ne sconsigliano la diffusione.

«Libertà di espressione a geometria variabile», l'ha definita in un graffiante articolo Massimo Gaggi sul Corriere.it, evidenziando «l'impossibilità di mantenere, nel mondo della comunicazione digitale e globalizzata, una visione della libertà d'espressione universale e assoluta, applicata ovunque nello stesso modo [...] Chi decide quali sono le situazioni di particolare delicatezza che giustificano un intervento censorio, sia pure temporaneo?». Viene ricordato anche l'atteggiamento ambiguo di Google sul mercato cinese, dove solamente lo spostamento a Hong Kong dei suoi server avrebbe consentito di cessare la presunta censura di alcuni contenuti per compiacere il governo di Pechino.

E' facile condannare la violenza cieca e l'intolleranza di alcuni gruppi religiosi (gli integralisti islamici ma anche chi ha pensato e realizzato il film per una stupida rivalità tra religioni), ma che debba essere una società privata votata al business a dover decidere quando difendere la libertà di espressione, e quando invece è inopportuno, è più difficile metterlo in evidenza. Non è rassicurante che debba essere il mercato a porsi il problema di evidenziare, volente o nolente, che gli spazi di libera circolazione di informazioni e opinioni, ormai da anni quasi esclusivamente digitali, non sono più al sicuro, nemmeno loro, dall'intolleranza ideologica.
Google (e gli altri social network a diffusione planetaria) è in questi giorni sotto attacco - più o meno velato - per la sua presunta incoerenza. Ma non sarà piuttosto che è stata lasciata sola in questa lotta? Lotta che, in ultima analisi, non sarebbe nemmeno di sua esclusiva competenza. Il potere politico è quello che deve essere chiamato in causa, semmai, perché troppo spesso si nasconde dietro l'impossibilità di interferire nel libero mercato e garantisce la libertà di fare impresa nel settore della comunicazione e diffusione di idee quando fa comodo, ma in altri casi pretende la censura senza assumersene la responsabilità diretta.

Pubbicato ieri qui.


venerdì 7 settembre 2012

Un requiem per i cattolici adulti


Come Diogene vagava con una lanterna in cerca dell'uomo, anche noi cerchiamo i cosiddetti cattolici adulti, ma questi continuano a mancare all'appello. Anche dopo che il tanto amato (dal popolo, un po' meno dalle gerarchie ecclesiali) cardinal Carlo Maria Martini se ne è andato, scandalizzando i cattolici più ortodossi col suo rifiuto dell'accanimento terapeutico e denunciando autorevolmente (e fin troppo benevolmente, ma si sa, non è facile criticare una struttura di cui si fa parte a pieno titolo) il colossale ritardo culturale della Chiesa cattolica, e - di conseguenza - della religione che questa rappresenta.

L'otto agosto scorso, parlando con padre Georg Sporschill e Federica Radice, in quello che la stampa considera il suo 'testamento spirituale', Martini affermava chiaramente che «La nostra cultura è invecchiata [...] le nostre case religiose sono vuote e l'apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi». Il cardinale, papabile al conclave che ha eletto il reazionario Joseph Ratzinger (che infatti ha subito tentato di riportarlo nei ranghi - da morto - definendolo "pastore fedele"), appare sconsolato nel vedere «così tanta cenere sopra la brace [la Chiesa, ndr] che spesso mi assale un senso di impotenza», e arriva ad auspicare «la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. [...] Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un'autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?». E alla fine, prendendo atto che «La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni» si chiede: «Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?».

Sembra che con Martini siano spariti definitivamente anche quei credenti critici che la chiesa - ecclesia ha al suo interno; già quando era in vita non sono stati capaci di cogliere con convinzione quel poco di spinta verso un adeguamento alla realtà da parte della Chiesa che il cardinale - insieme ad altre figure ecclesiali ben più critiche, come il teologo Hans Kung - auspicava. Ora mancano del tutto all'appello: non si curano nemmeno che il loro amato cardinale venga abbandonato in pasto a spudorati fanatici cattolicisti come Antonio Socci (ne abbiamo parlato diffusamente qui), che spalleggia e istiga la parte più reazionaria della Chiesa, affermando tranquillo che «Martini ha sempre cercato l'applauso del mondo, ha sempre carezzato il Potere (quello della mentalità dominante) per il verso del pelo, quello delle mode ideologiche dei giornali laicisti, ottenendo applausi ed encomi. È stato un ospite assiduo e onorato dei salotti mediatici fino ai suoi ultimi giorni».

Invero Socci, dal punto di vista dei 'laicisti', sparlando di Martini a suo piacimento non fa che confermare quanto spesso sia statasopravvalutata la sua pastorale e il suo presunto coraggio. Oppure, a seconda dei punti di vista, quanto facile sia interpretare a proprio piacimento e convenienza le parole di chi parla con poca chiarezza e convinzione, o da una posizione di compromesso.

Forse dobbiamo attendere che tra i credenti si spengano il dolore e il lutto coreografico e in molti casi ipocrita di questi giorni, per la morte del cardinale, per vedere un segno di vita dei cattolici adulti. Ma se questi vogliono tornare dal loro mondo di zombie farebbero bene a battere un colpo, prima che li diano per dispersi definitivamente e vengano sospese le ricerche.



Pubblicato ieri qui.

lunedì 3 settembre 2012

Dell'altruismo degli atei - Un dibattito necessario



L'esperienza sociale umana è stata sempre caratterizzata da una forte impronta prima spirituale e poi religiosa, che ha avuto - e in parte ancora ha - un peso determinante nella formazione delle culture e del pensiero. In un contesto simile, quella dei pensatori liberi, in buona parte non credenti, è una vita non facile, che li costringe a cercare spazio e legittimità in continuazione per la loro etica. Il fiorire e prosperare di una lunga serie di luoghi comuni, poi, ha complicato ulteriormente le cose. Quella dell'altruismo, ad esempio, è una delle questioni principali: il pensiero diffuso è che i credenti siano più altruisti e caritatevoli dei non credenti, se non altro per ragioni "contrattuali" (la carità è uno dei cardini - praticamente un obbligo - delle religioni organizzate), mentre i non credenti, non avendo stipulato un simile "contratto" con la divinità, non hanno quest'obbligo e - anzi - sono propensi all'egoismo gaudente. Luoghi comuni, appunto.

Negli Stati Uniti si sta sviluppando un interessante dibattito sul tema; interessante malgrado si debba tener conto della diversità culturale tra le due sponde dell'oceano, e visto anche che al di là dell'Atlantico la "carità" ha un'impronta prevalentemente privata, e offre persino vantaggi fiscali non trascurabili a chi la fa. Fatta la tara, crediamo che il dibattito si possa riprendere e sviluppare anche nel vecchio continente; e in particolare in Italia, in assoluto lo stato europeo dalla politica più confessionale, a dispetto della sua Costituzione. L'Uaar, Unione atei e agnostici razionalisti, che sta monitorando il dibattito, ha riportato i dati di uno studio (tra i tanti) di Arthur Brooks (professore di economia aziendale e politica governativa all'Università di Syracuse) sulla generosità dei non credenti, nel quale il postulato è che «quando si allarga lo spettro dell'indagine per includere attività di beneficenza che vadano al di là delle donazioni in danaro, l'idea che le persone religiose siano più generose di quelle non religiose comincia a vacillare»; questo, in un contesto tipicamente anglosassone, dove storicamente è mancata l'influenza (l'invadenza?) di una Chiesa onnipresente come quella cattolica, e dove si è educati fin da piccoli ad organizzarsi per raccogliere fondi per qualunque causa.

Di questi giorni, invece, è la proposta della blogger americana Jen McCreight, che vuole «migliorare il movimento ateo», e che ha lanciato e sviluppato l'ateismo+: una forma di ateismo militante che è «una sintesi di giustizia sociale nel New Atheism» (l'ateismo scientista di Dawkins e Dennet), ovvero «il tentativo di creare un movimento che dia la priorità a istanze di eguaglianza, facendolo da un'esplicita prospettiva non religiosa», nel quale l'ateo si impegna attivamente a combattere le diseguaglianze sociali, includendo «tutti coloro (e sono tanti) che preferiscono al momento restare fuori da un impegno attivo nelle associazioni atee».

Ogni analisi rispettabile ha bisogno di prospettive complessive (sguardo da lontano) e dettagliate (sguardo da vicino). Al di là dell'importanza dell'uso delle parole (in questo caso forse "laico" sarebbe un termine più adatto di "ateo", visto che l'ateismocomprende una moltitudine di visioni differenti, tante quanti sono gli atei, mentre gli agnostici non vengono nemmeno citati), della collocazione geografica degli interessati al dibattito, e della metodologia d'indagine sull'attivismo di credenti e non credenti, di cosa parliamo: di trovare "qualcosa da fare" agli atei, ora che sono in crescita conclamata e in numero non più trascurabile, come se fossero stati fino a oggi a girarsi i pollici? Oppure di stabilire se sono inferiori ai credenti e capaci di carità? Si tratta di verificare le qualità (spontaneità, sincerità, motivazioni) dell'altruismo degli uni e degli altri, oppure di tentare di occupare - almeno in parte - uno spazio prima esclusivo dei credenti?

Se si vuole discutere seriamente bisogna subito sgombrare il campo da ogni equivoco possibile. Il dibattito americano - visto da qui - è in parte viziato: cerca di presentare una scena fatta di gruppi separati di persone (atei contro credenti), mentre la realtà è che ogni tratto del carattere dei singoli prescinde dall'appartenenza a un gruppo e dalle preferenze e credenze (o non credenze) personali. Dunque, l'ateismo+ e forse un'altra manifestazione di quel bisogno di alcuni atei di dimostrare di non essere inferiori ai credenti? Anche a livello psicologico: è altruismo puro o ricerca di gratificazione personale (ma questo riguarda anche i credenti)? Davvero l'ateo - in quanto ateo - ha bisogno della legittimazione del credente, e della società che questi domina? O piuttosto deve - alla sua coscienza di cittadino - solamente assumersi la responsabilità di partecipare al corretto funzionamento della democrazia che abita, anche negli aspetti meno piacevoli?

Pure sui termini bisognerebbe capirsi: volontariato, carità, in che senso vanno intesi, nel concreto? Lanciare una monetina a un accattone? Mettere il banchetto per raccogliere firme o fondi in favore di questa o quella causa? E l'attivismo per le cause 'alte', tipo la difesa della Costituzione o dei diritti civili, che tipo di impegno è? La McCreight (che a dire il vero è anche piuttosto critica nei confronti dei movimenti ateisti del suo paese) traccia dei confini precisi: la giustizia sociale, i diritti delle donne, combattere il razzismo, l'omofobia e la transfobia, usare il pensiero critico e lo scetticismo; ma il campo d'azione è molto più ampio.
Anche una volta stabilito l'oggetto del dibattito, la sensazione è che si rischia di prodursi in un giochetto inutile, come quello che cantava Giorgio Gaber (cos'è di destra e cosa di sinistra), su cosa sia laico/ateo e cosa invece religioso/confessionale. La stessa Uaar, la più grande associazione di atei italiana, non ritiene che «fare "volontariato sociale ateo" sia una strada da seguire per migliorare l'immagine degli atei: sarebbe un po' farlo per secondi fini. E' tuttavia vero che c'è un urgente bisogno, in Italia, di mostrare come una parte probabilmente maggioritaria del volontariato "vero", quello che non vive soltanto grazie ai contributi pubblici, sia aliena da ogni influenza religiosa». Facendo attenzione anche a non mutuare dal confessionalismo la propensione al proselitismo selvaggio che lo caratterizza.



Prendiamo l'emarginazione come terreno di confronto: tenendo sempre a mente che c'è una larga fascia di questa emarginazione che sussiste per cause non puramente economiche (come il disagio mentale, le conseguenze delle tossicodipendenze, eccetera), lo sguardo da lontano implica che ci debba essere una tensione ideale, quella verso uno stato sociale che abbia già dentro di sé strumenti efficaci per includere gli emarginati e disagiati in automatico. Oppure - ancora prima - di andare verso una società che non produca dei soggetti o categorie deboli, ovvero che crei e mantenga le condizioni per cui non esista emarginazione, povertà, bisogno. Lo sguardo da vicino, invece, dovrà ammettere che (se vogliamo evitare generalizzazioni maldestre), non sussistendo l'utopia della società perfetta di cui sopra, l'attivismo confessionale, comunque sia motivato, svolge nel complesso un ruolo importante, malgrado la sottotraccia di proselitismo e il parassitismo economico che incorpora, e che è connaturato nelle politiche cattoliche, in ogni settore, e che non di rado presenta la carità come ricatto sociale.

Va detto inoltre che sussiste una sorta di inerzia e apatia culturale per cui gran parte dell'opinione pubblica ritiene che le iniziative caritatevoli siano "naturalmente" appannaggio degli ambienti confessionali, e questo vale anche per molti atei.

Detto questo, è pacifico che nemmeno in questo settore i credenti abbiano l'esclusiva. Bisogna superare i luoghi comuni anche qui: credenti e non credenti già sono 'mischiati' nelle associazioni come nelle singole iniziative, e raramente si preoccupano delle etichette.
Per quanto riguarda le associazioni e i movimenti, indubbiamente quelle confessionali (la Caritas su tutte) godono del privilegio non trascurabile della grancassa mediatica quotidiana, ma sul territorio sono diffuse molte realtà che non hanno nulla - o quasi - a che fare con la religione, e sono efficaci almeno in egual misura. Una di queste è la milanese Cena dell'Amicizia onlus, nata nel 1968 in una parrocchia della zona Città studi, quando «un gruppo di amici si ferma di fronte a una panchina e invita a cena un "barbone"». In 44 anni, seguendo tappe importanti che l'hanno vista aprire centri di accoglienza diurni e notturni, maschili e femminili, e mettere a disposizione dei suoi "ospiti" degli appartamenti protetti, la 'Cena' è diventata un punto di riferimento importante per la lotta alla grave emarginazione sociale nel capoluogo lombardo. Massimo Acanfora, Responsabile Comunicazione e Ufficio stampa di quella che, nel suo statuto, si definisce associazione 'apartitica e aconfessionale', parla a Cronache Laiche: «In parte le nostre attività sono in convenzione con gli enti pubblici, dall'altra abbiamo creato - come quasi tutte le associazioni - una figura che si occupa di raccolta fondi da privati, aziende, fondazioni. Il nostro bilancio è intorno ai 4-500mila euro all'anno. Accogliamo oltre 30 persone in case di accoglienza, oltre alle attività che trovate sul nostro sito». L'associazione si è avvalsa per molti anni, oltre che di un buon numero di volontari (nella foto sopra alcuni di loro, durante la Giornata del volontario, che sarà replicata il prossimo 30 settembre), dei giovani che svolgevano il servizio civile alternativo a quello militare, i cosiddetti "obiettori di coscienza". «Purtroppo ora non abbiamo più convenzioni con il ministero, anche per i "tagli" al Servizio civile e il ridottissimo numero di ragazzi e ragazze che possono fare questa scelta». In ogni modo, tra i volontari «non chiediamo a nessuno se è credente o no. Né valutiamo in nessun modo il suo impegno con riguardo a questa sua scelta personale. Direi che non c'è nessuna differenza» tra gli uni e gli altri. «Collaboriamo con molte associazioni religiose in modo più o meno proficuo, a seconda della loro professionalità o meno, non tanto della loro natura confessionale. Lo stesso vale per gli enti non confessionali». Inoltre, «Siamo in continuo contatto con Comune di Milano, Asl e servizi sociali: i progetti con le persone senza dimora sono realizzati in collaborazione con loro nel 90% dei casi».
Tra l'altro, è da rilevare che raramente le istituzioni cattoliche si danno tanto da fare per protestare contro i tagli allo stato sociale e alle sovvenzioni alle associazioni di volontariato, così come si sgolano un giorno si e l'altro pure contro i matrimoni gay; per dirne una, su quelle che sono le loro priorità.

In conclusione: se c'è una chiara differenza di approccio all'impegno sociale tra laicità/ateismo e confessionalismo, forse non è utile né indispensabile che l'uno invada il campo dell'altro per motivi di 'controllo del territorio'. E non è nemmeno necessario trovare nuovi nomi per l'ateismo. Invece, è indispensabile, anzi, urgente insistere e seguitare a denunciare l'assenza colpevole delle istituzioni, combattere quel mostro che è la cosiddetta "sussidiarietà", malinteso (e principio, peraltro, tradito proprio dal governo dei cattolici di Mario Monti) con il quale queste ultime si scrollano di dosso la responsabilità di occuparsi del benessere collettivo, e - se non bastasse - tolgono ai cittadini la facoltà di scegliere liberamente se e come fare la "carità" coi propri soldi e secondo le proprie inclinazioni. Nonché, enorme fonte di sperpero costituito dalle regalìe pubbliche a vantaggio del clero, che - come detto - usando fin troppo spesso la carità come pretesto o come ricatto, se ne avvantaggia grandemente per fini non sempre caritatevoli.

Questo è decisamente un dibattito necessario.

(Si ringrazia Massimo D'Angelo per le traduzioni)

Già pubblicato qui e qui.